Le Servitù Militari spiegate semplicemente

Qual è lo stato dell’arte della presenza militare in Sardegna?
Cos’è una servitù militare? È il termine corretto?
Quanti e quali territori sono interdetti alla popolazione per via delle attività militari?
Si può parlare di occupazione militare della Sardegna?
Perchè tanti sardi protestano contro la presenza degli eserciti nell’Isola?
Esiste un’alternativa a questo scenario?

Assemblea Natzionale Sarda dà una panoramica dello status quo per facilitare la risposta a questi interrogativi, facendo luce su una tematica tanto dibattuta ma non sempre pienamente compresa in tutti gli aspetti.

Cosa è una servitù militare?

Il termine “servitù militare” è utilizzato impropriamente a livello giornalistico e colloquiale nella società. Contrariamente a quanto si sente, e a quanto si legge anche nel titolo di questo articolo, in termini giuridici si dovrebbe parlare di Demanio militare. Spieghiamo di seguito la differenza.

  • Il Demanio militare comprende i beni di proprietà dello Stato destinati all’attività militare, quindi i poligoni e le caserme ma anche altre strutture come basi navali e aeroporti militari, depositi per munizioni, depositi di combustibile e oleodotti, stazioni radiogoniometriche, impianti di telecomunicazioni, fari ed ex batterie. In Sardegna queste comprendono una superficie pari a 237,65 km2. [1]
  • La Servitù militare, termine talvolta usato erroneamente per intendere tutto il terreno occupato militarmente, invece è un istituto della legge italiana che prevede la limitazione del diritto di proprietà nelle aree confinanti con gli impianti del Demanio militare per motivi di funzionalità e sicurezza degli impianti stessi. Le limitazioni possono essere il divieto di edificazione in prossimità dei siti o lo sgombero di terreni e abitazioni in concomitanza con operazioni di esercitazione militare. Le servitù militari in Sardegna hanno un’estensione complessiva di 136,07 km2.[1]

Questo significa che in Sardegna l’area totale destinata ad uso militare e sottratta dallo Stato ai civili è pari a 373,72 km2. Il 65% del demanio militare italiano è sull’Isola.

Quali basi militari sono presenti in Sardegna?

Oltre a una vasta quantità di immobili inclusi nel Demanio, quattro sono le più importanti basi militari installate nell’Isola e sono utilizzate principalmente come sito d’addestramento per gli eserciti appartenenti a diversi Stati del mondo [2]:

  • Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra: situato nella parte sud-orientale dell’isola si estende su un vasto altopiano chiamato “Su Pranu”, geograficamente conosciuto come “Salto di Quirra”. La base è divisa in due grandi sottosistemi: un “poligono a terra” di 12.000 ettari nel comune di Perdasdefogu, dove ha sede anche il Comando, e un “poligono a mare” di 2.000 ettari, a Capo San Lorenzo, nel comune di Villaputzu, che si estende per 50 km fino a Capo Bellavista. [4]
  • Poligono Militare di Capo Teulada: situato nella parte sud-occidentale della Sardegna, nel comune di Teulada, è un poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare affidato all’Esercito Italiano e messo a disposizione della NATO. È il secondo poligono d’Italia per estensione con 7.200 ettari di terreno a cui si aggiungono i 75.000 ettari delle attigue “zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione”, ovvero le servitù militari. [5]
  • Poligono Capo Frasca: sito sulla costa occidentale dell’Isola, nel comune di Arbus, è un poligono dell’Aeronautica Italiana messo anche a disposizione delle altre forze NATO per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra. Occupa una superficie a terra di 14 Km2 e impegna anche una servitù marina interdetta alla navigazione nei comuni di Arbus e Terralba. [6] 
  • Aeroporto Militare di Decimomannu: situato nel Campidano di Cagliari, è una base aeroportuale dell’Aeronautica Militare italiana e utilizzato anche dalle altre aviazioni NATO, in passato soprattutto dalla tedesca Luftwaffe. Dal 2023 è presente anche l’International Flight Training School (IFTS). Grava principalmente sulle aree del comune di Villasor e quelle di Decimomannu con una superficie di 18,16 km2, di cui 5,72 km2 di demanio e 12,44 km2 di servitù. [7]

A queste si aggiungeva la Base Navale di Santo Stefano nell’arcipelago di La Maddalena, che ospitava due importanti impianti: il deposito di munizioni della NATO “Guardia del Moro” e la base-appoggio americana per sommergibili nucleari, ma dal 2008 è stata dismessa definitivamente dopo un accordo tra il Governo italiano e lo Stato Maggiore USA. [8]

Chi decise di installarle?

La matrice giuridica di queste basi militari in Sardegna va ricercata nel processo che portò alla fondazione della NATO, l’alleanza atlantica concepita per la difesa da un potenziale attacco del blocco sovietico, e i rapporti tra Italia e USA all’alba degli anni ‘50. [9][21]

Più in particolare, la legittimazione della presenza americana nello Stato Italiano fu sancita con l’accordo bilaterale Italia – Stati Uniti del 7 gennaio 1952, chiamato “Accordo di mutua sicurezza”, che integrava gli impegni presi con la ratifica del Trattato di Washington e con cui gli Stati Uniti reclamarono delle postazioni in territorio italiano. [10]

Due anni dopo, precisamente il 20 ottobre 1954, un altro accordo tra Italia e USA noto come Bilateral Infrastructure Agreement (B.I.A.) fu stipulato al fine di individuare un certo numero di infrastrutture bilaterali e di fatto costituì il via libera a nuove installazioni militari. [10] Nello stesso accordo si definivano le linee da seguire per ciò che concerneva la gestione delle basi. Sebbene siano passati tanti anni dalla sua sottoscrizione il B.I.A. non è ancora stato desecretato e il suo preciso contenuto non è mai stato reso noto. Di fatto il contenuto segreto è stato in parte svelato, seppur involontariamente, attraverso lo scandalo “Wikileaks.”

A partire dagli anni ’50, la NATO assegnò alla Sardegna il ruolo di piattaforma addestrativa per la sua posizione periferica rispetto alla cosiddetta “soglia di Gorizia”, ovvero il confine nord-orientale italiano con la Jugoslavia, allora parte del blocco sovietico. Risale a quel periodo la nascita delle tre grandi basi addestrative di Teulada, Salto di Quirra e Capo Frasca e il ripristino dell’aeroporto militare di Decimomannu. [9]

La conferma dell’importanza strategica della Sardegna negli interessi statunitensi arriva da un rapporto della Central Intelligence Agency (CIA) degli anni Sessanta [21], dal quale emerge chiaro il criterio di scelta dell’isola come luogo particolarmente adatto agli scopi militari.

L’Italia è una mega portaerei che si affaccia sul Mediterraneo, si sporge a Est e sbircia a Oriente. All’interno di questa mega portaerei c’è la Sardegna, che fa parte della portaerei, ma non ha il fastidioso problema della gente e delle città. Una sorta di ponte libero, ettari ed ettari non cari, quasi spopolati ma comunque abitati dalla gente, i sardi, tenaci e coriacei, ma come risaputo incapaci di costituire movimenti collettivi o iniziative comuni. L’isola è povera, e per questo facilmente comprabile con poche centinaia di posti di lavoro nelle basi militari, da offrire come mangime a qualche compiacente politico nazionale o regionale.

Rapporto della Central Intelligence Agency (CIA), 1960

Cosa si fa nei vari siti?

Sebbene tutte le basi in Sardegna siano di proprietà delle Forze Armate italiane, esse vengono utilizzate di concerto con la NATO e pertanto sono funzionali alle sue attività. La NATO ha trasformato l’Isola in una grande area strategica di servizi bellici essenziali: esercitazioni, addestramento, sperimentazioni di nuovi sistemi d’arma, guerre simulate, depositi di carburanti, armi e munizioni, rete di spionaggio e telecomunicazioni. Al tradizionale ruolo di centro di addestramento si sovrappongono compiti direttamente operativi per il controllo dell’intera area mediterranea, funzioni che potenziano l’importanza strategica dell’isola come perno del sistema politico-militare dell’Alleanza nord-atlantica. [2]

A seconda del grado di norme di sicurezza ritenute necessarie durante le esercitazioni, i territori attigui ai poligoni, ovvero le servitù, subiscono limitazioni permanenti o temporanee, come lo sgombero di specchi d’acqua, il divieto alla circolazione terrestre o l’interdizione al sorvolo dello spazio aereo sovrastante. Si pensi che l’estensione delle zone di sgombero a mare è tale da superare l’intera superficie della Sardegna. Per intenderci, una parte del poligono di Teulada e dell’area a mare è permanentemente interdetta anche agli stessi militari per motivi di sicurezza. [2]

Difficile comunque dire nel dettaglio come vengono svolte: le attività più comuni sono la sperimentazione di nuove armi e le annuali esercitazioni a fuoco congiunte di forze NATO. Si pensi che a Teulada, per adeguare il poligono alle nuove esigenze addestrative, sono stati costruiti gli “scenari reali” confacenti alle guerre moderne, come ad esempio un villaggio in perfetto stile serbo-ortodosso in preparazione ai conflitti nei Balcani e un altro in stile medio-orientale. In ogni caso le attività svolte all’interno dei poligoni sono coperte da segreto militare quindi non si può sapere con precisione il reale impatto sul territorio e gli esiti delle prove. I trattati Italia-USA come il BIA e anche l’Air Technical Agreement hanno un’elevata classifica di segretezza tale che non possono essere declassificati unilateralmente neanche dallo Stato Italiano. [11]

Gli effetti delle attività militari nelle basi e nelle servitù sono pertanto costantemente oggetto di dibattito sociale e giudiziario, sia per quanto riguarda lo stato e la sostenibilità ambientale dei territori occupati dalla Difesa sia per gli effetti sulla salute della popolazione residente intorno ai siti e degli stessi militari che vi lavorano. Tali processi sono spesso complicati proprio per via dell’impossibilità di conoscenza dello stato dell’arte dei siti e delle attività belliche.

La popolazione ebbe voce in capitolo?

No. La popolazione residente e sarda in generale non ebbe alcuna voce in capitolo nel processo di occupazione della Sardegna da parte delle forze nord-atlantiche, nè direttamente attraverso consultazioni popolari, referendum ecc., nè indirettamente attraverso i suoi rappresentanti politici locali, dato che la Regione Sardegna fu tagliata fuori da ogni dialettica politica con i soggetti italiani e internazionali. L’installazione delle basi e delle servitù fu figlia delle dispute geopolitiche di quel tempo, esito pertanto di decisioni calate dall’alto.

Solo nel 1976, con la legge 898, si volle normare la materia delle servitù, con l’obiettivo di porre fine alla supremazia degli interessi della Difesa nazionale rispetto a quelli locali. Tale legge prevedeva l’istituzione del cosiddetto Comitato Misto Paritetico per le Servitù Militari, per un confronto costante tra Esercito e istituzioni civili. I rappresentanti della popolazione locale sono nominati dal Presidente della Regione e le esercitazioni, le nuove installazioni militari e le relative servitù vengono da allora sottoposte obbligatoriamente al parere del Comitato, che deve valutare la compatibilità dei programmi militari con i piani di sviluppo territoriali. [12]

Come spesso accade, però, la legge non basta per risolvere la situazione, sia perchè sovente gli interessi geopolitici internazionali sono molto più forti delle proteste locali – rendendo debole e inefficace il lavoro di monitoraggio del Co.Mi.Pa. – sia perchè gli stessi rappresentanti locali talvolta hanno supportato e incoraggiato la presenza militare nell’Isola per ideali partitici e tornaconto politico. [13]

Dagli anni ‘80 in poi, i politici sardi a ogni livello (regionale e statale) hanno svolto periodicamente un lavoro parlamentare di contrasto all’attività militare: nel 1980, ad esempio, la Commissione Difesa pensò a un “piano per la ri-dislocazione delle forze armate sul territorio nazionale finalizzato ad alleggerire le relative installazioni militari e servitù nelle regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna”. L’anno dopo la RAS invitò il Governo Italiano a “risolvere il problema delle servitù e installazioni militari in Sardegna” e questo riconobbe la gravosa situazione dell’Isola. [13]

Da lì in poi i “rappresentanti del popolo sardo” hanno ciclicamente posto solo piccole pezze come l’ottenimento di indennizzi o l’apertura di piccole porzioni stagionali di servitù a mare, ma senza alcun piano economico-sociale alternativo e senza fermare l’attività bellica che – come detto – si svolge praticamente ancora nella medesima quantità di area occupata militarmente.

L’inazione dei politici sardi comunque non significa una totale immobilità da parte della società civile: il caso più emblematico avvenne già nel 1969 quando a Pratobello, nel comune di Orgosolo, i residenti avviarono una protesta pacifica ad oltranza per un mese contro la volontà calata dall’alto dello Stato Italiano di installare lì un presidio militare in linea con la politica militare della NATO durante la Guerra Fredda. Dopo settimane di tensioni, la Difesa si arrese e dovette rinunciare al suo obiettivo di insediarsi in quei terreni. È questo l’unico caso nel quale la popolazione ha avuto voce in capitolo e ha ottenuto la non occupazione del territorio per usi militari. Scopri la storia dettagliata di Pratobello cliccando qui.

Da decenni, poi, esiste un trasversale movimento antimilitarista sardo che sensibilizza contro la presenza delle basi e delle servitù nell’Isola. Tante sono state infatti le manifestazioni di protesta contro l’occupazione militare, la più imponente fu nel 2014 quando a Capo Frasca sfilarono in corteo oltre 12.000 sardi [14][22]. Tuttavia, la condizione attuale è la stessa di Pratobello: i sardi, di fatto, non sono interpellati nelle scelte legate all’occupazione militare e se vogliono far sentire la propria opinione lo devono fare a loro rischio e pericolo scendendo in piazza e provando a opporsi a delle scelte nelle quali non hanno, appunto, voce in capitolo.

Perchè diversi sardi protestano?

Sono tanti i sardi che da decenni protestano contro l’occupazione militare della Sardegna da parte dello Stato italiano e della NATO. Lo fanno in quanto si ritiene che non ci sia alcuna ricaduta positiva sul territorio, per vari aspetti.

  • ECONOMICO: Non è raro sentire frasi come “Le basi portano lavoro” o “creano indotto”: concetti entrati nel pensiero di diverse persone e propagandati dalle stesse autorità militari. In occasione dell’annuale esercitazione nel 2023, l’Ammiraglio dell’Esercito Italiano Fabio Agostini dichiarò che la stessa avrebbe determinato «una positiva ricaduta economica sul territorio con la presenza di migliaia di persone, assicurata con la fornitura di pasti, servizi di lavanderia, lavori edilizi per migliorare la ricettività, tutti servizi forniti a livello locale». [15]
    Tuttavia non risulta alcun profitto economico significativo generato dalla presenza militare nei territori delle esercitazioni. Una recente indagine dell’Unione Sarda ha svelato come tante delle operazioni di routine a supporto dell’attività militare, dalla fornitura del catering (dall’acqua minerale al cibo per la colazione) alla manutenzione degli impianti dentro i poligoni fino alla raccolta dei rifiuti vengano affidate, senza gare pubbliche, ad aziende non sarde. [15] Di fatto, nei poligoni vige un regime economico di sussistenza in cui non è necessario alcun commercio con le attività limitrofe. [16] Essendo aree militari ci si accede tramite arruolamento, per cui l’impatto di assunzioni di lavoratori è minimo vista la scarsa presenza di aziende circostanti a servizio delle basi. Anche i dati socio-economici dei comuni svelano come non avvenga alcuna produzione di ricchezza: il PIL dei comuni con aree occupate è decisamente più basso rispetto a quello dei comuni confinanti che vivono di altri indotti come il turismo balneare (si pensi a Teulada vs Pula o Villaputzu vs Muravera) ma non solo, dato che va da sé che qualsiasi occupazione di un territorio ne neghi lo sviluppo in altre direzioni, a maggior ragione se inaccessibile alla popolazione civile. Questi comuni, poi, hanno iniziato a subire una forte emigrazione proprio a partire dal periodo in cui vennero aperti i poligoni al contrario dei comuni confinanti [19] (leggi qui per approfondire).
  • AMBIENTALE: Non è più un segreto che le basi militari e le esercitazioni connesse generano un forte inquinamento. Basti pensare alla cosiddetta “sindrome di Quirra”, cioè il termine con il quale si indica un fenomeno che ha portato a una serie di morti sospette e casi di tumore tra i militari e pastori, nonché malformazioni di animali allevati nella zona, seguiti dall’esposizione a sostanze nocive, in primis l’uranio impoverito, scarto derivante alla deflagrazione di ordigni sia in zone di guerra che in aree di esercitazione militare, e che prende questo nome proprio perché si riscontrò nei militari e nella popolazione vicina alla base di Quirra. La correlazione tra attività bellica e tale mortalità è ancora oggetto di dibattimento giudiziario e attualmente i vertici dei Poligoni sono indagati per omicidio e lesioni colpose plurime. A Teulada invece una parte della Penisola Delta è inaccessibile ai militari stessi in quanto troppo inquinata, cinque vertici dell’Esercito sono ancora sotto processo per disastro ambientale e la Difesa stessa ha ammesso che dovranno essere effettuate le bonifiche del sito, mai però partite. [17]
  • ETICO: nelle aree del Demanio militare in Sardegna si esercitano tutte le principali forze armate del Pianeta. Quirra e Teulada sono i due più grandi poligoni d’Europa. Lì vengono sperimentate nuove armi e nuove tecniche belliche da traslare poi su reali scenari di guerra. Di fatto, questo rende la Sardegna parte in causa dei principali conflitti in corso nel Mondo. Liberarsi di queste aree significa pensare a un futuro per la Sardegna più pulito, oltre che remunerativo socialmente e economicamente.
  • POLITICO: si tratta di aree non accessibili e sottratte alla popolazione, operazione che è stata fatta senza la volontà dei residenti. La gestione di queste aree non dipende dai sardi, che non possono quindi decidere del loro destino. Dunque, tralasciando il discorso pacifista o antimilitarista, la questione si lega all’autogoverno dell’Isola e del suo territorio. Le dinamiche politiche della presenza militare in Sardegna hanno ricadute sull’attività economica dell’Isola in quanto ne determinano, in questo caso dall’alto, il suo destino. Si pensi all’apertura dell’ITFS a Decimomannu o al Distretto Aerospaziale Sardo, a discapito di altri investimenti utili alle comunità. O si pensi alle politiche assistenzialiste come gli indennizzi a pescatori e allevatori, a discapito di un vero sostegno allo sviluppo economico. Il militarismo italiano di fatto è una forma di colonialismo sulla Sardegna. [18]

Cosa si potrebbe fare lì in alternativa?

Le risposte a questa domanda potrebbero essere infinite. 

Di sicuro, al momento, data l’impossibilità di gestione e anche solo d’ingresso in quelle aree, fa sì che la popolazione non abbia voce in capitolo. Il lavoro deve essere volto a riprendere questo potere, che sia tramite il Comitato Paritetico, tramite il lavoro dei rappresentanti politici con a cuore la smilitarizzazione della Sardegna o direttamente attraverso le battaglie della società civile.

Dopodichè è necessaria un’importante opera di bonifica delle aree interessate a spese dell’occupante. Una volta riottenute le terre bonificate si può immaginare un futuro economicamente e socialmente sostenibile. Le basi militari non sorgono sull’etere, ma sono circondate da aree libere che vivono di altro e – come già detto precedentemente – talvolta sono eccellenze della Sardegna stessa. Quirra e Teulada fanno parte dell’area più attiva dal punto di vista turistico balneare, diverse aree (lo stagno di Corru S’Ittiri, gli stagni di Murtas e S’Acqua Durci, l’Isola Rossa, Capo Teulada e Porto Pino) sono definite Siti di Interesse Comunitario (SIC) ma ricadono del tutto o in parte nelle aree off-limits delle basi [20]. Esse potrebbero essere valorizzate per la ricerca scientifica o potrebbero ospitare azioni a tutela della flora e della fauna del luogo. Si potrebbero sviluppare forme di turismo sostenibile, si potrebbe (riprendere a) fare allevamento, agricoltura, o produzione di energie rinnovabili e migliaia di altre cose. Sicuramente anche il nulla sarebbe meglio di attività altamente inquinanti, distruttive e poco etiche. Un esempio palese è la dismissione della Base di La Maddalena che dal 2008 è nelle disponibilità dei residenti: da tale data i parametri economici della comunità sono in risalita rispetto al periodo della gestione militare. [19]

Se ciò sembra un obiettivo a lungo termine, per non dire lontano, si può iniziare a pretendere una riconsegna di tutti quei beni al momento ancora di proprietà del Demanio militare ma inutilizzati dalla Difesa stessa. Tali strutture, come le caserme chiuse, e tali aree naturali – come può essere il Promontorio di Sant’Elia a Cagliari per citarne una – sarebbero immediatamente a disposizione della collettività. [13]

Essere contro le basi militari significa schierarsi pro o contro qualcuno in un conflitto?

No. Essere contro le basi significa intraprendere una lotta per l’autodeterminazione della propria terra, ossia difenderla e pretendere il diritto di decidere cosa farne. 

Chi manifesta la propria contrarietà alle basi militari non si schiera con uno o con l’altro contendente in un determinato conflitto, ma è contrario a che i conflitti vengano preparati all’interno di aree sottratte alla collettività. Le basi militari in Sardegna persistono dal 1950 e, in oltre 70 anni, il mondo ha visto alternarsi periodi di guerra come periodi di pace (o di “meno guerra”), ma ciò non ha ridotto di una virgola la pressione militare sull’Isola. Essere contro le basi non sposterebbe l’ago della bilancia in alcun conflitto.

Infine, premesso che – come spiegato sopra – le alleanze internazionali tagliano spesso fuori le comunità dalle decisioni strategiche, la Sardegna come entità non indipendente è un “passeggero” nelle dinamiche geopolitiche condotte dall’Italia. In una Sardegna con i poteri di uno Stato, la popolazione avrà la facoltà di decidere direttamente e indirettamente il proprio destino, le proprie alleanze, la propria posizione nei conflitti mondiali e la propria Difesa.

Bibliografia

  1. Cosa si intende per “demanio”?, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  2. Le basi militari in Sardegna, Regione Autonoma della Sardegna su, regione.sardegna.it
  3. La presenza militare nell’Isola, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  4. La base del Salto di Quirra, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  5. La base di Teulada, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  6. La base di Capo Frasca, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  7. Decimomannu, dove I piloti grandi e piccoli del mondo si addestrano per fare la guerra, Sardinnia Aresti, su www.maistrali.it
  8. La base di Maddalena, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  9. Lo sviluppo delle servitù, dal dopoguerra a oggi, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  10. La disciplina delle basi militari NATO ed USA in territorio nazionale, Parlamento Italiano, su camera.it
  11. Accordi sottobanco e trattati segreti, un secolo di (s)democrazia, Luca Rinaldi, su linkiesta.it (2 luglio 2016)
  12. Il ruolo del Comitato paritetico, Regione Autonoma della Sardegna, su regione.sardegna.it
  13. XVILegislatura – Interrogazione n. 1093/A, Agus et. al., 25 giugno 2021
  14. Capo Frasca, 12mila contro le servitù. Manifestanti entrati nel poligono, Federico Fonnesu e Davide Fara, su sardiniapost.it (2 luglio 2016)
  15. Nato & spesucce, in Sardegna manco l’acqua, Mauro Pili, su L’Unione Sarda (17 maggio 2023)
  16. «A Teulada i militari non comprano neppure un panino», Salvatore Loi, su L’Unione Sarda (17 maggio 2023)
  17. Udienza G.I.P. per l’inquinamento nel poligono di Teulada, Gruppo Intervento Giuridico, su gruppodinterventogiuridicoweb.com (7 maggio 2022)
  18. Questione sarda e complesso industriale-militare, Andria Pili, su jacobinitalia.it (15 aprile 2021)
  19. Le basi non portano ricchezza, risarciti i comuni, Ivan Monni, su sindipendente.com (25 marzo 2023)
  20. Completamento della procedura di designazione delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) riguardante Siti Natura 2000 ricadenti in aree interessate da poligoni militari, Regione Sardegna, Deliberazione N. 23/81 del 22.06.2021
  21. “Il poligono interforze del Salto di Quirra. Il prezzo del futuro”, Roberta Olianas, Tesi di Laurea a Università degli studi di Cagliari, Facoltà di Scienze Politiche (2012)
  22. “Guerra vista mare”, Omar Onnis, in Editoriale #8, Sud su Menelik (2022)
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